Affitti e locazioni ai tempi del virus.

Una triste conseguenza delle restrizioni imposte dal Governo per fare fronte alla emergenza sanitaria è l’inevitabile e drammatica contrazione dei flussi commerciali.

In alcuni casi, tale contrazione è stata così rilevante da determinare una situazione insostenibile, in cui i ricavi sono stati così bassi da portare molti commercianti a non riuscire a fare fronte ai costi derivati dallo svolgimento della attività.

Tra i tanti, spesso e volentieri, uno dei costi fissi maggiori è rappresentato dal canone di locazione o dall’affitto della stessa azienda.

Vale la pena di chiederselo: vi è rimedio?

In assenza di una clausola contrattuale ad hoc la risposta non è del tutto scontata, ma certamente, seppure sia difficile evitare il pagamento integrale di questi costi, ad oggi, pare comunque possibile raggiungere una importante riduzione del prezzo, attraverso una rinegoziazione volontaria o giudiziale degli equilibri contrattuali.

Tale strada non costituisce sicuramente il frutto di una interpretazione canonica delle leggi, ma viene comunque avvallata da ormai molte decisioni dei Giudici italiani, i quali, sulla scorta del fatto che la pandemia ha determinato una situazione particolare, anzi particolarissima, hanno ritenuto che sia insito nel principio di buona fede contrattuale il dovere del locatore di (quantomeno valutare) la rinegoziazione delle clausole contrattuali e, quindi, la rivalutazione del prezzo.

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