I diritti di credito costituiscono una materia a cui il nostro ordinamento è sempre stato molto sensibile.
Addirittura, quando esiste una prova scritta, è possibile attivare un procedimento giudiziale rapido e decisamente economico, attraverso il quale si può ottenere una condanna ai danni del debitore (cosiddetto procedimento monitorio).
Ovviamente, però, il modo più celere per soddisfare il proprio credito, qualunque sia la sua ragione, è il pagamento spontaneo del debitore.
Ma se invece il debitore decidesse di non pagare? Come si fa?
Si attiva l’espropriazione forzata!
E infatti, il nostro ordinamento accoglie il principio della responsabilità patrimoniale, secondo cui il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri (art. 2740 codice civile).
Una volta ottenuto un titolo (vale a dire un atto da cui emerga la responsabilità patrimoniale del debitore e, quando necessario, la cosiddetta formula esecutiva), occorre, in primo luogo, inviare al debitore un atto denominato atto di precetto.
Quest’ultimo altro non è che una sorta di ultimatum con cui il creditore intima il pagamento della somma entro un termine congruo (solitamente di 10 giorni).
Se il debitore non paga neanche questa volta, è possibile fare il famigerato e temuto pignoramento, che è un atto dell’Ufficiale Giudiziario con cui viene imposto un vincolo di indisponibilità sui beni o sui conti correnti o, ancora, su una parte degli stipendi del debitore.
Se poi, anche dopo il pignoramento sui beni, il debitore non vuole pagare, si può chiedere al Giudice dell’esecuzione di mettere in vendita i beni pignorati e di soddisfare il proprio diritto di credito con la somma ricavata dalla vendita.
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